Nuove classi di concorso: tra rigo e righe.

Contributo alla riflessione sulla proposta di riordino delle classi di concorso per le discipline musicali

[di Roberto Neulichedl]

Introduzione al problema

Viene da alcuni denunciato il fatto che, ai sensi della bozza di decreto circolante sul riordino delle classi di concorso, sarebbe precluso l’accesso agli eventuali futuri concorsi per la secondari di I grado, per la disciplina “Musica”, ai laureati in musicologia privi di un diploma di conservatorio già possessori di una abilitazione A032 (o A031). Di qui l’esigenza di approfondire la lettura del testo del decreto e dell’insieme degli allegati (nei quali non è da escludere la presenza anche di qualche errore materiale).

La questione in oggetto può essere schematicamente così riassunta:

  • a) nel caso in cui le preoccupazioni di cui sopra siano fondate, rimane da capire come possa essere emanato il decreto additato, vista l’impossibilità di acquisire il pare di legge del CNPI, formalmente decaduto (con quella del CNAM, il ministro si è “scordato”  di prorogarne la validità nella legge mille proroghe…).
  • b) per coloro che si devono ancora abilitare (sempre per la A032/31 nelle secondarie di I grado) il percorso per l’accesso ai concorsi non risulterebbe stabilito dal riordino delle classi di concorso, bensì dal DM 249/2010 (come ricorda la stessa bozza di decreto), che prevede due possibili bienni differenziati: uno presso le Università e l’altro presso i Conservatori (NB: tali concorsi non potranno essere però banditi sinché il numero delle cattedre disponibili sarà, come ora, pari a 0…; perciò non può nemmeno essere autorizzato l’avvio dei relativi bienni, bensì solo quelli relativamente alle classi A077, ora appunto in procinto di partire [leggi])
  • c) diverso discorso meritano invece le classi di concorso relative ai Licei musicali e coreutici (tutte di nuova istituzione) per le quali si dovrebbe in effetti richiedere con forza un ripensamento generale, dato che sono il frutto disastroso di un insensato braccio di ferro ingaggiato proprio tra rappresentanti dell’Università e dei Conservatori, con intenti maldestramente spartitori (del tipo “a noi la preparazione dei docenti di Storia della musica, a voi quelli di strumento e di alcune materie pratico-teoriche …”); in ogni caso, anche qui, è bene ricordare che stiamo parlando di numeri di cattedre infinitesimali, almeno sino a che i Licei musicali-coreutici saranno come ora contingentati e amministrati in regime di convenzione forzata con i Conservatori.
  • d) nel passaggio da un ordinamento all’altro si dovrebbe come sempre porre la massima attenzione a non sovrapporre norme relative alla rimodulazione dell’attuale ordinamento con quello futuro (le tabelle potrebbero in tal senso confondere), così come potrebbe risultare fuorviante pretendere che il sistema delle equipollenze delle previgenti abilitazioni possa essere applicato indifferentemente tra diversi gradi della secondaria in una sorta di ragionamento che mescola (a seconda della convenienza) ex ante con ex post.
  • e) tutto ciò sembra inscriversi in una “logica” perversa, derivante dalla sistematica assenza di regole, di punti di riferimento e, in ultima analisi, di uno Stato di diritto.

Per poter meglio argomentare gli aspetti (a monte e, volendo, a valle) della questione, si propongono di seguito alcuni “paragrafi” organizzati in titoli-metafora con riferimento ai problemi di lettura (a più livelli) delle righe.

Le righe
Quando si affrontano questioni di natura legislativa, è opportuno che i riferimenti siano (per correttezza e completezza d’informazione) quantomeno puntuali. Se infatti si scorrono le “righe” dell’allegato B della bozza di decreto (disponibile in vari siti), concernente l’Ordinamento delle classi di concorso per la scuola secondaria di primo e secondo grado, si osserva anzitutto che gli “accorpamenti” inerenti gli insegnamenti di discipline musicali sono in parte formali (rimangono delle sottoclassi) e in parte sostanziali (cfr. estratto della tabella). Stiamo comunque parlando di una “bozza di decreto” soggetta a un certo iter per la sua approvazione.
Quindi, ancor prima di entrare nel merito delle possibili “ricadute culturali” di un simile provvedimento (qualora approvato), si dovrebbero precisare preliminarmente almeno tre aspetti: uno che interessa tecnicamente l’iter formale del provvedimento stesso; il secondo concernente le “conseguenze a livello legislativo” ossia il grado di coordinamento con l’attuale normativa del testo dell’ipotetico provvedimento; un terzo aspetto, infine, riguardante le eventuali ricadute pratiche a livello di organizzazione scolastica.
Nel dettaglio ecco dunque esposti i tre punti.

  • 1) iter provvedimento. La proposta normativa (stando ad alcune obiezioni già mosse anche da alcune OO.SS.) sarebbe passibile di successiva impugnazione, in quanto adotta lo strumento del “decreto ministeriale” in luogo del “regolamento” come prevederebbe la legge (ex “Gelmini”) che sanciva il riordino delle classi di concorso. Ciò significa che: da un lato il provvedimento, adottando un iter semplificato (ossia non dovendo passare per le “commissioni parlamentari” per l’acquisizione del parere obbligatorio), risulterebbe in qualche modo passibile in partenza di “vizio di legittimità” (e quindi impugnabile davanti al TAR); d’altro lato, anche seguendo questo iter di dubbia correttezza formale, cozzerebbe contro il fatto che il parere comunque obbligatorio del CNPI (Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione) non potrebbe essere espresso, per il semplice fatto che tale organismo non è stato rinnovato nelle sue cariche rappresentative e nemmeno prorogato (con la legge proroga di fine dicembre scorso). Il risultato è che, allo stato attuale, esisterebbe quindi un vuoto istituzionale insanabile, che impedisce l’avanzamento di qualsiasi tipo di iter. Tradotto in termini politici significa: non se ne fa nulla sino all’insediamento del prossimo parlamento e la costituzione del prossimo governo. Quindi, allo stato attuale, e salvo “pezze” messe all’ultimo momento (ma, a Camere sciolte,  non si capisce bene come…), risulta abbastanza improbabile ipotizzare una simile forzatura normativa da parte del ministero competente. Poi è anche vero che nello “Stato di non diritto” in cui ci troviamo in Italia (vedi oltre) nulla ormai più stupisce…
  • 2) coordinamento del provvedimento con l’attuale normativa. Attualmente il regolamento sulla formazione iniziale (DM 249/2010), seppur in via di ridefinizione, prevede due distinti percorsi (specifici bienni e TFA) ai fini dell’abilitazione nelle classi A032 e A077 (mentre nulla ancora stabiliscono per le secondarie di II grado). Pare evidente che la bozza di decreto in esame (che interessa la fase del reclutamento) risulta al momento “scoordinato” rispetto al regolamento concernete invece il momento delle formazione iniziale. Tale scollamento (e le idiosincrasie sistemiche che produce) tuttavia non può vanificare il valore dei percorsi già avviati o in via di attivazione. In ogni caso è importante tener distinta la situazione pregressa da quella, a regime, futura. La tabella dell’allegato B (vedi estratto) stabilisce, per quanto in maniera discutibile, il sistema delle “equiparazioni” delle abilitazioni del pregresso ordinamento rispetto alle nuove classi di concorso. E’ quindi opportuno chiarire che ai fini dell’accesso ai pubblici concorsi per il reclutamento dei docenti di scuola secondaria di I grado nulla pare di fatto cambiare. Diverso il discorso per le secondarie di II grado in cui, invece, la presenza della musica è stata di fatto confinata nei Licei musicali-coreutici e nell’ambito della libera offerta formativa esercitabile con l’autonomia scolastica. In questo secondo caso si tratta quindi caso mai di condurre (anzi rilanciare con grande forza) una battaglia a tutto tondo sulla presenza della musica nel sistema dei licei (del resto se non ci sono i posti, di cosa discutiamo?).
  • 3) ricadute sull’organizzazione scolastica.Come per molti altri provvedimenti in “materia di istruzione” assunti negli ultimi tre lustri, pare che la ratio anche di questo provvedimento vada ricercata in primo luogo non certo in aspetti di ordine scientifico-culturale (quelli rispecchiano caso mai il potere di distinte lobby), bensì nel tentativo – quasi sempre maldestro – di “fare cassa” per cercare di produrre risparmi nella spesa pubblica. Ragione forse comprensibile (e in parte condivisibile) sul versante economico, meno giustificabile sotto il profilo di una maggiore funzionalità ed efficacia amministrativa. Facendo lo sforzo di ammettere una ratio in tal senso si può quindi ipotizzare che l’accorpamento di classi di concorso possa avere per esempio l’effetto di una possibile diversa modulazione plastica della composizione delle “cattedre”, anche al fine delle assegnazioni delle ore di insegnamento. Il meccanismo produrrebbe insomma una sorta di “flessibilità” della quale, in prospettiva, a beneficiare potrebbero essere tutto sommato sia le Istituzioni, sia gli stessi docenti (ma affinché ciò si realizzi andrebbero rese più flessibili anche altre norme relative al possibile “spacchettamento” delle ore di cattedra, per es. per le A077). Tutto ciò, comunque, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno. Se poi invece gli accorpamenti delle cattedre (che, ricordo, interessano non solo le discipline musicali) nascondono in realtà l’intento di sforbiciare ulteriormente cattedre o altro mi pare difficile poterlo stabilire ora con certezza (anche se la recente proposta dell’aumento a 24 ore dell’orario di cattedra, fortunatamente rientrata, sta a testimoniarlo!). La cosa più probabile è che attraverso una nuova etichettatura si finga di cambiare per, come sempre, non cambiare nulla …

Sopra le righe
Seppur mosse dalla legittima difesa di prerogative, le reazioni che si registrano ora in rete  rischiano di risultare scomposte e, in ultima analisi, poco utili.
Scatenare ennesime guerre intestine, tese a sancire la supremazia di un titolo in luogo di un altro, della teoria sulla pratica (o viceversa) ecc., riapre solo vecchie ma mai risolte conflittualità che sono all’origine di mali profondi del sistema (mi riferisco al decennale nefasto braccio di ferro tra Università e Conservatori).

Sotto le righe (e dentro al rigo)
In tal senso sarebbe auspicabile (e più saggio), anziché lanciare raccolta di firme “contro”, darsi da fare per pretendere che si ponga finalmente fine al “doppio canale formativo” (vedi le due diverse attuali tabelle per il biennio A032 del citato DM 249/2010) e che, pur garantendo alle diverse istituzioni la possibile attivazione dei percorsi (compatibilmente con la oculata gestione delle risorse pubbliche anche al fine di evitare sprechi) si “obblighino” dette istituzioni a istituire percorsi a tutti gli effetti “unici”, integrati, in quanto a titolo rilasciato. Ma ciò implica (lo testimoniano molti tentativi passati), la definizione anzitutto di un profilo professionale che non sia il risultato di un A+B uguale “A e B” (come traspare ora delle richieste di titoli nelle tabelle), bensì di una A+B = C, ovvero un’adeguata sintesi formativa tra competenze tanto di ordine musicale (pratico e storico-teorico) quanto di ordine musicologico (ossia storico e teorico-concettuale). L’ultimo “tavolo” di esperti chiamato a dare risposte a questo livello si è rilevato evidentemente inadeguato al compito assegnato. O forse i risultati sono stati poi stravolti (sarebbe interessante saperlo dai diretti interessati!). Sta di fatto che anche queste tabelle delle nuove classi di concorso sembrano il frutto ancora una volta non di una sapiente sintesi, bensì di una pedissequa e maldestra “addizione” di competenze richieste ai futuri docenti.

Ma ciò apre il discorso su una questione ben più ampia di ordine culturale, che per decenni ha sequestrato l’avanzamento di un dibattito serio in ordine alla improrogabile necessità di ricomporre saperi pratici e teorici (dibattito più volte voluto e sostenuto con ampia documentazione di una elaborazione scientifica, per es., dai Dipartimenti di Didattica della Musica dei Conservatori).

 

Rompiamo le righe?
Una nazione che ha di fatto espunto da decenni lo “Stato di diritto”, ovvero che ha rinunciato a garantire il rispetto delle regole (e in generale della legge), è evidente che condanna i propri cittadini a uno stato di perenne “precarietà” in ordine alle proprie scelte anche di vita. A questo ordine di problemi può forse solo far fronte l’impegno di ciascuno, nella misura in cui, nelle proprie convinzioni politiche, esercita (anche con il voto, ormai imminente, oltre alla partecipazione attiva alla vita sociale) il diritto/dovere di un’etica nel rapporto tra individuo/cittadino e res publica.
Ma se da un lato risulta poco “politically correct” (seppur umanamente comprensibile) che ciascuno cerchi di trarre vantaggi personali da situazioni ambigue e di deregulation, rimane comunque inaccettabile che Istituzioni e organizzazioni sociali (tramite i loro responsabili, ossia chi per primo è chiamato a tutelare la cosa pubblica) invece di risolvere le schizofrenie del sistema si abbandoni a un mercimonio delle tutele ad personam (o rivolte a ristrette lobby) facendo carta straccia, sistematicamente, del suddetto Stato di diritto. E ciò riguarda da vicino proprio tutto il settore della formazione musicale.
Nello specifico, va infatti esplicitamente denunciato il fatto che, dall’approvazione della legge di riforma 508/1999, non poche istituzioni del sistema dell’AFAM (Conservatori in particolare) hanno deliberatamente “dopato” il sistema, “spacciando” (mi si passino le necessarie espressioni a tinte forti alla Pannella) titoli buoni per tutte le stagioni …e soprattutto per riempire cattedre dai numeri traballanti. Complice la mancata visione di sistema a partire dalla quale poter (e saper!) costruire una progettualità capace di guardare a cicli temporali lunghi (almeno decennali), considerata la complessità di settori quale quello dell’istruzione.
Invece, riforme dietro riforme (o simil tali), si è prodotta una fibrillazione dell’intero sistema, buona forse solo per farlo implodere… (il che fa ritenere le parole di Calamandrei del 1950 sin troppo profetiche!).
Che fare dunque? Anzitutto cercare di leggere a fondo (quale strumento di difesa civica) le norme per non rimanerne vittime; quindi operare affinché, nelle giuste sedi (possibilmente non in modo corporativo), siano evidenziate le incongruenze o i passaggi di dubbia interpretazione.
Anche il mondo delle associazioni (forse il Forum per l’educazione per primo) potrebbe attivarsi in tal senso nell’ottica di pretendere (e operare per) il ripristino di una legalità atta a difendere tutti, e non solo qualcuno. Il bene comune è anche questo: fare lo sforzo anzitutto di capire (dedicandovi attenzione ed energie); quindi agire per rimuovere gli ostacoli al funzionamento complessivo di un sistema, piuttosto che cercare di far girare quei pochi ingranaggi atti a portare l’acqua solo al proprio mulino.
Fatta “pulizia” della coltivazione di false speranze, o delle errate interpretazioni, rimarrà la questione davvero nodale (che è poi culturale) del cosa fare per ambire a vivere in una nazione il cui il sistema d’istruzione pubblica non si trasformi surrettiziamente in un sistema di “distruzione (o distrazione) di massa”.
(12 gennaio 2013)

—————
Sintesi dell’estratto dall’allegato B della bozza di riordino delle classi di concorso

Questa voce è stata pubblicata in Biennio e TFA, Classi di concorso, Studi e ricerche e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Una risposta a Nuove classi di concorso: tra rigo e righe.